La tempesta Vaia, che meglio sarebbe definire con il suo vero nome, ovvero ciclone extratropicale, è stata una delle prime, palesi ripercussioni in sede locale delle modificazioni climatiche che si stanno verificando a livello globale.
A fine ottobre del 2018, in poche ore, la furia del vento ha abbattuto oltre 42.500 ettari di foresta, creando una devastazione mai vista nei boschi di cinque comunità regionali: Lombardia, Trentino, Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia.
L’evento ha messo in evidenza la fragilità del patrimonio boschivo e insieme l'eredità di politiche forestali che fondano le loro radici in epoche lontane quando la logica produttivistica aveva trasformato i boschi in piantagioni di alberi, incuranti di quanto si sarebbe impoverito il tessuto boschivo sul piano della biodiversità. Un'eredità che segna, seppure in misura diversa, buona parte del territorio dolomitico, attenuata semmai dalle politiche che le singole amministrazioni regionali hanno attuato nel corso degli ultimi decenni.
In Trentino e nelle altre realtà dolomitiche dove si è introdotto a partire dagli anni 60 un significativo cambiamento di gestione – con la generalizzazione della rinnovazione naturale e la scelta di modelli forestali irregolari e a composizione mista (con la crescita delle specie associate all'abete rosso: faggio, abete bianco, larice, altre latifoglie) e il forte aumento delle biomasse – ci sono condizioni che rendono possibile una migliore base per la ricostituzione del bosco distrutto per via della presenza di nuclei di piante giovani e di rinnovazione.
Il bosco come bene comune
Siamo convinti che la migliore risposta a questa calamità legata al cambiamento climatico consista nel riavvicinamento delle comunità locali alle tematiche inerenti le foreste e la loro gestione attraverso l’assunzione di responsabilità e la partecipazione attiva della società civile, dell’associazionismo e del volontariato, delle componenti economiche e professionali nonché dei Comuni, delle ASUC e delle altre proprietà collettive.
Da sempre il bosco rappresenta un bene comune dal valore inestimabile che va oltre la stima delle materie prime che se ne possono ricavare.
Stiamo parlando di una funzione ecologica fondamentale ed imprescindibile sia per il valore della biodiversità, sia per quanto riguarda la stabilità idrogeologica, la sicurezza del territorio e il valore paesaggistico. Sia infine per quanto concerne la dimensione sociale, ricreativa e turistica.
Per questi motivi il patrimonio forestale deve assurgere nel dopo-Vaia a fattore di resilienza strategico nella gestione complessiva della montagna in un’ottica di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Accettare il limite, rilanciare la sostenibilità per ripensare il futuro della montagna
Un’altra lezione che apprendiamo da Vaia riguarda il tema dei limiti dello sviluppo. Anche la montagna, e in questo caso il versante meridionale delle Alpi, è stata investita dai grandi fenomeni negativi legati ai cambiamenti climatici.
La nostra generazione è chiamata pertanto ad assumersi delle precise responsabilità per abbassare gli attuali livelli di consumo, contenere le devastanti emissioni di CO2 e mettere in campo le migliori azioni volte ai cambiamenti di paradigma quali l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, un sistema della mobilità non invasivo ed inquinante, un modello produttivo, agricolo e turistico sostenibili.
Su quest'ultimo aspetto, riteniamo necessaria una riflessione attorno all'impatto del cambiamento climatico sul turismo montano, ben sapendo che le attività legate alla neve si ridurranno drasticamente e che la prospettiva di incrementare a dismisura l’innevamento artificiale o quello di elevare ulteriormente la quota di costruzione degli impianti non può essere la strada da seguire perché costituisce la riproposizione forzata di un modello non sostenibile. La foresta, da questo punto di vista, può diventare l’areale naturale per un modello turistico compatibile con gli equilibri ambientali.
Altri obiettivi riguardano inoltre la riduzione dell’impronta ecologica, lo stop al consumo di suolo e alla cementificazione, l’uso razionale e responsabile delle risorse naturali.
Un’azione straordinaria per il rilancio della filiera del legno e la messa in sicurezza del territorio
Proponiamo pertanto un vero e proprio “Green deal per le foreste dolomitiche” che intervenga in forma sinergica sul tessuto forestale compromesso da Vaia sia a livello naturalistico, in una logica di protezione e differenziazione paesaggistica, sia a livello economico ed occupazionale, con nuove iniziative pubbliche e private in piena sinergia ed integrazione con i settori dell’agricoltura e del turismo.
Con la proposta di un patto di sviluppo per le foreste dolomitiche intendiamo porre con forza l’urgenza del rilancio dell’intera filiera del legno considerando anche le diverse opportunità inserite nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e negli strumenti dell’Unione europea ad iniziare dal Green Deal e dal nuovo PSR.
Un patto che intende proporre innanzitutto un programma formativo ed educativo incentrato sui temi della sostenibilità ambientale, sulle buone pratiche relative alla selvicoltura naturalistica, sull’alpicoltura e la corretta gestione del patrimonio montano in modo tale da rilanciare l’ambiente dolomitico in tutte le sue componenti.
Se la comunità trentina e dolomitica sapranno dare vita ad un processo partecipato e responsabile per rilanciare la centralità della montagna definendo una sintesi virtuosa fra responsabilità, limite, innovazione ed economia circolare, ecco che Vaia potrà effettivamente trasformarsi da problema in opportunità.
Incentivare le politiche di intervento pubblico
Rilanciare la filiera del legno significa innanzitutto incentivare le politiche di intervento pubblico con il rafforzamento dei servizi forestali e di vigilanza boschiva, l’assunzione di nuovi lavoratori e lavoratrici, la valorizzazione di nuovi profili professionali legati alla rigenerazione delle foreste nonché il rilancio della ricerca e della formazione.
In questi ultimi due decenni abbiamo assistito, anche in provincia di Trento, ad una drastica riduzione dell’occupazione stagionale nel settore forestale, sia per quanto riguarda il personale provinciale, sia per quello dei Comuni e delle ASUC.
Siamo consapevoli del livello di impegno che comporta il potenziamento di questo settore: formazione, qualità, utilizzo di macchinario complesso, a volte alte professionalità.
Le province autonome e le altre regioni colpite da Vaia potrebbero pertanto assumersi un impegno, anche economico, nel sostegno di questi profili professionali che porterebbe nel breve volgere di pochi anni ad un recupero qualitativo della sentieristica, della viabilità forestale e al miglioramento delle azioni di intervento relative alle emergenze che, secondo le previsioni, si annunciano sempre più frequenti.
Anche sul versante imprenditoriale e della valorizzazione delle materie prime e dei prodotti lavorati va messa in campo una nuova strategia per lo sviluppo di un sistema locale connesso ai settori della bioedilizia, delle costruzioni in legno, delle case ad alta efficienza energetica oltre ad altri manufatti legati all’economia circolare.
Dalla prima lavorazione in bosco alle segherie e alle falegnamerie, dai laboratori alle PMI, l’intera filiera dovrà essere coinvolta in un progetto complessivo di sviluppo nell’ottica della definizione di un distretto locale forte, coeso e innovativo.
Il dopo-Vaia dovrà corrispondere in questo ad un processo di ricostruzione e ricomposizione del tessuto forestale nel pieno rispetto degli equilibri naturali compromessi dall’evento e nell’infrastrutturazione di un complesso di interventi per la riorganizzazione del sistema di difesa dai rischi naturali quali valanghe, caduta sassi, frane e alluvioni. Fondamentale, da questo punto di vista, sarà la realizzazione di misure ed iniziative volte alla salvaguardia delle funzioni di presidio garantite dal bosco anche attraverso un nuova pianificazione che rafforzi le aree di protezione.
Si ritiene pertanto necessaria una revisione delle carte dei rischi geologici, idrogeologici e valanghivi ed un piano straordinario di protezione civile legato al patrimonio forestale al fine di prevenire e gestire razionalmente eventuali nuovi fenomeni estremi.
Salvaguardare la biodiversità e la funzione ecologica del bosco
Le azioni di rimboschimento dovranno tenere conto della necessità di salvaguardare la biodiversità del patrimonio forestale. Pertanto la messa a dimora non dovrà essere monospecifica ed estesa su ampie superfici e dovrà lasciare ampi spazi alla rinnovazione naturale. Alcune aree saranno lasciate all'evoluzione spontanea senza asportare le piante abbattute.
Vaia potrebbe rappresentare inoltre anche un’opportunità per una maggiore diffusione di specie diverse dall'abete rosso, quali il larice, il faggio, l’abete bianco e, a quote inferiori, altre latifoglie come querce, frassini, aceri, diversificando ulteriormente le formazioni.
A questo si aggiunge la necessità di affrontare l'onda lunga di Vaia con misure immediate, sia per i rischi connessi al mancato esbosco del legname schiantato, sia per effetto del bostrico tipografo che aggredisce porzioni sempre maggiori di foreste indebolite dal ciclone del 2018 e dagli eventi come le grandi nevicate dell'inverno scorso.
All’interno delle politiche e degli interventi tesi alla salvaguardia delle funzioni ecologiche del bosco vanno approntati inoltre una serie di azioni di supporto e recupero degli spazi compromessi quali aree naturalistiche di pregio (aree di Natura 2000, ZPS, ZSC e SIC), radure e spazi aperti, prati aridi, pascoli e alpeggi.
Si tratta di interventi che necessitano di una sensibilità rinnovata, capace di coniugare le necessità di asportare il materiale ancora schiantato con quelle del recupero della biodiversità, della sicurezza del territorio nonché del rilascio in superficie boscata della necessaria necromassa (biomassa legnosa non vivente).
Da questo punto di vista è necessario prestare maggiore attenzione anche alle esigenze di tutela del patrimonio faunistico, garantendo ad esempio nuovi spazi per i tetraonidi e la biodiversità legata agli ambienti aperti e alle fasce ecotonali (aree di transizione fra zone aperte e zone chiuse) nonché, dove necessario ed in corrispondenza dei centri abitati e le maggiori vie di comunicazione, adeguate strutture e corridoi faunistici per la salvaguardia e incolumità dei selvatici e delle persone.
Nuova pianificazione e ascolto del territorio
Vaia ha fatto sì che aprissimo gli occhi su territori variegati e gestiti da tempi immemori (l’uomo è presente nella regione dolomitica da circa 12.000 anni e da circa 4.000 svolge sul territorio attività di agricoltura, pastorizia e selvicoltura). Nel corso del Novecento i nostri boschi hanno subìto forti pressioni dovute agli eventi bellici, allo sviluppo economico, alle esigenze più immediate delle popolazioni locali. Dissodamenti, bonifiche, costruzioni di terrazzamenti, non sempre corretta gestione del patrimonio forestale hanno oltremodo contribuito a dar vita a un mosaico paesaggistico e colturale estremamente fragile. Successivamente, alla crescita quantitativa non è sempre corrisposta quella qualitativa, cui sono seguiti fenomeni diffusi di abbandono delle aree agricole marginali, progressivamente riconquistate dal bosco, cresciute in superficie e in consistenza.
All’indomani di Vaia molti osservatori hanno pertanto suggerito l'urgenza di un cambio di paradigma, individuando in questo evento anche un'opportunità per ripensare la montagna e il suo patrimonio, considerando che si potessero creare, accanto alle ferite dovute agli schianti, anche nuovi spazi interni al settore forestale per migliorarne la funzionalità e la resilienza anche in previsione del cambiamento climatico.
La nostra proposta è quindi quella di promuovere un processo di zonizzazione a partire dai territori investiti da Vaia per migliorarne la qualità e la funzione ambientale in un quadro complessivo ed equilibrato. Una zonizzazione pedoclimatica, in grado di classificare le aree e individuare le migliori pratiche agro-silvo-pastorali.
Un intervento che può trovare significato dopo un’azione di diffuso monitoraggio del patrimonio esistente, della sua qualità, delle interconnessioni fra mondo vegetale e mondo animale, fra caratteristiche e qualità dei suoli in cui si sviluppa una vita straordinaria per numeri e importanza e che per questo merita grande attenzione.
In questa prospettiva Vaia può rappresentare un’ulteriore opportunità, qualora sostenuta da enti specializzati, settori legati ai diversi Dipartimenti universitari e tecnici di settore, per investire in un percorso di ricerca applicata distribuita su più decenni, sviluppando sul territorio non solo manodopera di media qualificazione, ma anche professionalità di alto profilo.
Un progetto che dovrebbe prevedere un nuovo equilibrio con il territorio, mettendo in essere un meccanismo partecipativo che aiuti le comunità ad assumere una maggiore consapevolezza della stratificazione del paesaggio, di quel che c'era, di quel che c'è e di quel che potrà esserci.
Un'operazione di ascolto necessaria per l’eterogeneità dei territori e per avere un coinvolgimento di soggetti diversi in grado di apportare informazioni affinché eventuali trasformazioni possano corrispondere a finalità sostenibili nel quadro di una nuova alleanza fra economia ed ambiente.
Nuove aree per l’agricoltura di montagna
L’abbandono dell'agricoltura di montagna e delle terre alte ha riconsegnato negli ultimi decenni alle foreste ampi settori di territorio un tempo adibiti alle coltivazioni in quota e al pascolo.
In particolari situazioni colpite da Vaia ed in prossimità dei centri abitati si potrebbe pertanto pensare al recupero di nuove aree da destinare ad attività coerenti con i principi della zootecnia sostenibile e dell’alpicoltura attraverso lo sviluppo del pascolo, delle colture foraggere di qualità e la valorizzazione degli spazi ad elevata biodiversità come nel caso dei prati magri e ricchi di specie.
Nuovi spazi aperti consentirebbero inoltre di differenziare il paesaggio forestale e di incentivare il ritorno all’agricoltura da parte dei giovani nei settori dell’allevamento.
Interventi che dovrebbero però accompagnarsi da un’intensa azione formativa rivolta sia al mondo dei produttori e degli allevatori, sia degli amministratori locali, delle ASUC e delle altre proprietà collettive in modo tale da ribadire il valore preminente della gestione e manutenzione responsabile e di qualità degli alpeggi e degli spazi aperti ad uso foraggero attraverso un insieme di buone pratiche agronomiche e di gestione ambientale.
In particolare l’idea del pascolo estensivo su ampie aree potrebbe permettere evidenti benefici a vari livelli, non ultimi il paesaggio e la qualità dei prodotti agricoli in aree marginali.
Servono inoltre politiche organiche finalizzate alla gestione degli alpeggi in modo tale da connettere la tutela delle risorse naturali con la valorizzazione degli aspetti zootecnici, il sostegno alle imprese e lo sviluppo di forme di gestione multifunzionale che attualmente risultano ancora inespresse.
Nuovi spazi aperti destinati allo sfalcio e al pascolo avrebbero inoltre un effetto positivo sulla biodiversità e sul paesaggio e potrebbero contribuire all’apertura di nuove possibilità di sviluppo per l’apicoltura in aree non disturbate e lontane da un tipo di agricoltura intensiva e soggetta ad utilizzo di agrofarmaci.
Pensiamo ad importanti forme di sviluppo che potrebbero riguardare l’orticoltura biologica, la pataticoltura e la cerealicoltura così come la coltivazione delle piante officinali, la floricoltura, i piccoli frutti e le fragole coltivate in campo così come il restauro ecologico di praterie magre e ricche di specie a partire da materiale di propagazione autoctono.
Ambiti cruciali, questi delle terre alte, per una diversificazione e riqualificazione dell'intera economia dolomitica.
Turismo naturalistico e dell’esperienza
Il bosco ha una grande capacità attrattiva ed è percepito come l’ambiente naturale per eccellenza all’interno del quale sviluppare un rapporto olistico con l’ambiente e dove l'attività motoria risulta rilassante, benefica e salutare. In questo quadro, il bosco rappresenta un grande giacimento per un modello turistico orientato alla responsabilità e alla sostenibilità.
Dalla sentieristica al benessere, dal turismo attivo e dell’esperienza ai vari sport e discipline naturali, la foresta può e deve diventare a tutti gli effetti “la seconda casa delle popolazioni alpine” anche e soprattutto nel dopo-Vaia.
Questo evento, distruttivo e catastrofico, può pertanto rappresentare un nuovo inizio anche per un turismo che vede il proprio punto di forza nelle emozioni e non più nelle prestazioni delle infrastrutture e delle grandi opere in quota, privilegiando il silenzio della natura e il benessere derivato dalla riscoperta della dimensione fisica e spirituale.
I boschi urbani e di pianura
In questa riflessione non può mancare uno sguardo relativo ad una delle fonti principali del surriscaldamento del pianeta: quello delle emissioni di CO2 nell'atmosfera e al ruolo delle foreste e dei boschi per ridurne l'impatto.
Quando parliamo di boschi viene spontanea l'associazione con la montagna, quasi che questa ne fosse l'habitat esclusivo. Sappiamo che purtroppo questa è in larga parte la realtà oggettiva, ma non per questo dobbiamo rassegnarci ad uno dei tanti capitoli della perdita di biodiversità, la scomparsa delle foreste e dei boschi di pianura, che hanno una grande importanza perché creano percorsi di collegamento e connettività fra i vari habitat e aree frammentate.
Crediamo in altre parole che l'insieme del territorio alpino (e non solo la montagna) debba farsi carico del ripristino di aree boscate e dell’importanza delle funzioni ecologiche ed estetiche degli alberi anche lungo i fondovalle, in prossimità e dentro i centri abitati, prevedendo nella pianificazione urbanistica una specifica attenzione.
Un Tavolo di lavoro
della società civile
L'intenzione di questo documento è anche quella di dar vita ad un tavolo di lavoro fra le associazioni ed organizzazioni della società civile al fine di avviare una relazione costruttiva con le istituzioni per un “Green deal per le foreste dolomitiche”.
Gli eventi estremi e la natura non conoscono i confini dell'uomo.
Da qui una seconda proposta: promuovere nuove occasioni di confronto fra le realtà interessate al patrimonio silvo-pastorale dell’area alpina e dolomitica. Un incontro delle associazioni e delle organizzazioni che operano nell'ambito ambientale e dello sviluppo della montagna, dei comuni, delle Regole e delle Proprietà collettive, dei luoghi di ricerca e formazione, degli ambiti professionali ed imprenditoriali e delle persone di buona volontà delle cinque aree regionali colpite da Vaia.
Hanno sottoscritto il documento:
ACLI trentine
Ambiente Trentino
ARCI del Trentino
Arte Sella
Associazione Biodistretto di Trento
Biodistretto Val di Gresta
Centro Studi Judicaria
CGIL del Trentino
Circolo di Trento di Legambiente
CISL Trentino
Città Slow International
Comitato Scientifico di TSM/STEP, Scuola per il Governo del Territorio e del Paesaggio
Confindustria Trento
Federazione Trentina Biologico e Biodinamico
Federazione Trentina della Cooperazione
Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani
Italia Nostra
La Fonte Azienda Agricola di Montagna
La Foresta Accademia di comunità
Azienda La Meridiana di Francesco Bigaran
Mountain Wilderness
PAN Studio Associato
Officina Comune Rovereto
Ordine degli Agronomi del Trentino
PEFC Italia
Rete Ecomusei del Trentino
Slow Food Trentino Alto Adige
Touring Club
UIL del Trentino
Università di Trento, Dipartimento di sociologia e ricerca sociale, Marta Villa, PhD e Research Fellow
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