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Gli assetti fondiarii collettivi e le loro dimensioni sociale e ambientale

Paolo Grossi († ) fu Presidente emerito della Corte Costituzionale



Un “pianeta” diverso ci si disvela appena che si introduca lo sguardo nel mondo degli assetti fondiarii collettivi, tutti di origine pre-moderna e tutti viventi una loro vita appartata lungo i canali che hanno corso paralleli senza incontri con la civiltà giuridica borghese, magari - al contrario - con parecchi scontri a causa della intollerante dominanza culturale di stampo romanistico divenuta ormai programma ufficiale dello Stato. Qui non c’è la pur minima eco della visione potestativa dell’appartenenza, della proprietà come potere dell’individuo sulla cosa; anche perché qui non c’è l’individuo pensato come realtà insulare, c’è piuttosto un singolo operatore che, però, non è pensabile fuori della nicchia della comunità, che non riesce ad agire fuori di essa e che è assomigliabile alla tessera di un vasto mosaico. Ciò che ha risalto, che conta, che si pone protagonista è la comunità, ma anche questa, nella visione originaria ed originale, percepita non come struttura rigorosamente definita, ma come una ininterrotta catena generazionale, che noi abbiamo recentemente sacrificato nell’involucro della “persona giuridica”, sia per imposizione dello Stato, sia per le esigenze della circolazione giuridica, ma alla quale - nella sua essenza profonda - ripugnava un siffatto irrigidimento.

Prescindendo da queste pur rilevanti notazioni, quel che preme di affermare è la diversa antropologia che sorregge ogni tipo di assetto collettivo rispetto a una antropologia smaccatamente individualistica. Vi si esprime una antropologia decisamente anti-individualista. Due primati si stagliano: la comunità, di cui abbiamo or ora parlato; la cosa, ossia la cosa-madre, la terra, che non è l’oggetto neutro valorizzato unicamente dal potere del soggetto proprietario che su di essa si proietta, bensì la cosa assurgente a valore autonomo in quanto res frugifera, degna di attenzione e di cure perché, grazie alla sua fertilità. garantisce la sopravvivenza della comunità.

Non v’è dubbio che all’antropo-centrismo borghese si contrappone un marcato rei-centrismo.

Negli assetti fondiarii collettivi la cosa (la res) non è rilevabile tra i fenomeni bruti, ma è realtà vivente e vitale, ossia munita di vita propria e fonte di vita per le formiche umane che la coltivano. Il nesso da sottolineare non è con i poteri della comunità (che sono limitati e condizionati) o del singolo comunista (che in quanto singolo, non sono ipotizzabili), ma con la sussistenza stessa di una collettività impegnata a valorizzare la terra nella sua fertilità, a non violentarla od alterarla, sì da trasmetterla con tutta la sua intatta carica vitale alle generazioni future.

Ecco perché alla spasmodica esigenza borghese della circolazione del bene qui si oppone una sostanziale indisponibilità. Il perdurare di una massa patrimoniale non è qui intesa come manomorta che intralcia la libera circolazione, ma come elementare dovere di conservazione degli utenti di domani. Ecco perché alla esaltazione dei poteri del proprietario fino ad arrivare alla distribuzione del bene si contrappone la limitatezza dei poteri di chi detiene pro tempore il governo della comunità e, quindi, anche della terra che è l’unica condizione di vita. Vorrei, a questo punto, ritornare a una elementare verità, alla quale ho parecchie volte accennato: l’antropologia che circola negli assetti collettivi è assai poco una antropologia proprietaria, ed è probabilmente equivoca la stessa qualificazione di “proprietà” per queste realtà, così atipiche se si misurano al comune e familiare modello proprietario e aventi invece una loro diversa ma intensa tipicità sotto il profilo storico giuridico; ed è per questo che io, pur parlando anche di proprietà collettive secondo un uso comune, preferisco usare il più generico e meno vincolante sintagma di assetti fondiarii collettivi, che sottolinea unicamente quale tratto tipizzante il fenomeno organizzativo di una collettività impegnata su una certa terra. Se così è, nel pianeta degli assetti fondiarii collettivi il rapporto uomo/terra non è riducibile all’emungimento di un forziere di ricchezza, né la terra è qui, in prima linea, ricchezza. Si tratta, al contrario, di un rapporto complesso, un rapporto fondamentale, che impegna i componenti di una comunità in tutta la loro integralità. Il rapporto non si esaurisce in una dimensione economica o tecnico-agronomica, ma investe quella spirituale e culturale. Qui la terra non è solo porzione di una valle o di una montagna, ma altresì di un costume, di una storia, e si crea fra uomo e terra una relazione forte, una familiarità che investe anche la sfera del sentimento.


1 Il testo è tratto da Grossi P., Il mondo delle terre collettive, Quodlibet, Macerata 2019, pp. 84-86.

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