di Luigi Casanova, Mountain Wilderness Italia
Un’infestazione abnorme di bostrico (Ips thypographus) ha colpito il Triveneto. Il bostrico è fisiologico nelle foreste di conifere, specialmente quelle a prevalenza di abete rosso, coetaneiforme, monospecifico o biplano; è un parassita naturale con il quale nelle Alpi e non solo si è sempre convissuto. Le piante si difendono fino a quando il numero di insetti è ridotto, reagiscono liberando resine. Quando sono in sofferenza, per siccità, età, violenta esposizione alla luce, il bostrico prende il sopravvento.
E’ necessario portare attenzione alle diversità sociali, politiche ed economiche dei territori interessati dalla tempesta Vaia del 2018 ed alle azioni conseguentemente intraprese (tralasciamo Friuli, Lombardia e Liguria perché meno coinvolte, fra tutte tre un milione di mc. di schianti, poco più).
In Alto Adige la proprietà pubblica di foresta è ridotta, 34%; la proprietà è privata, dei masi, non eccessivamente frazionata, quindi più appetibile nella resa economica. La Provincia autonoma di Bolzano da subito ha versato 9 euro per mc. di legname schiantato ad ogni proprietario. A Bolzano, 1.200.000 mc. di schianti, il bostrico è appena presente in quanto non ha avuto modo di diffondersi perché privati e Provincia sono subito intervenuti nel rimuovere gli schianti. Previsto bostrico attorno ai 300.000 mc. di attacco, se non smentito dalla perdurante siccità, non oltre.
In Trentino, 3.400.000 mc. di schianti, boschi al 90% pubblici, tutto è stato lasciato andare in quanto la Provincia ha bloccato comuni e regole feudali perdendo due anni, la rimozione degli schianti è tutt’ora in atto. Nei due anni 2022 e 2023 è previsto un assalto di bostrico su oltre 4 milioni di mc.
In Veneto, 3.600.000 mc. di schianti, tutto allo sbando escluso il Comelico e la Marcesina, boschi per lo più privati; spezzettamento delle proprietà, costi eccessivi, inefficacia della Regione Veneto perché il corpo di polizia forestale dello Stato non esiste più (confluito nei Carabinieri), il legname è ancora a terra. Previsto bostrico oltre i 4 milioni di mc.
Trento e Venezia (come Friuli e Lombardia) avendo ritardato il recupero degli schianti di due anni hanno lasciato a terra le piante ancora verdi, in succhio con parte dell’apparato radicale, che hanno fatto da esca per l’insetto. La siccità 2022 acuirà il problema perché le piante rimaste saranno ancor più in sofferenza, il bostrico invece di due generazioni ne darà vita a tre. Una si è già sviluppata a maggio (doveva avvenire a metà giugno) e l’altra è in corso, la prossima si avrà alla ripresa vegetativa autunnale, fine agosto primi di settembre, a meno che non intervenga un freddo improvviso per più notti. E’ più probabile arrivi una nuova Vaia viste le temperature delle acque del Mediterraneo.
Previsioni. Laddove si sono verificate tempeste di vento in montagne simili alle nostre – Austria, Svizzera, Francia Ovest – il bostrico ha attaccato oltre il 30% della quantità di legname schiantato, su un milione di mc. Sono stati attaccati dal parassita 3/400.000 mc., ovunque; in provincia di Bolzano l’attacco riguarda meno del 20% degli schianti; in Trentino e Veneto si preannuncia una nuova Vaia, oltre il 100% di quanto schiantato sarà distrutto da bostrico, nuova catastrofe quindi, quanto visto finora purtroppo è poco. Ci saranno nelle due realtà oltre 7 milioni di piante da abbattere entro il 2023. La siccità in corso ha ulteriormente indebolito il bosco, la capacità di resistenza delle piante.
Va tenuto presente che in Italia c’è carenza di manodopera, non si riesce ad intervenire diffusamente. Costi altissimi, pochi boscaioli, se si esclude Bolzano nessun aiuto ai proprietari e ai boscaioli (o troppo poco). Nell’immediato futuro, già oggi, Comuni e Regioni dovrebbero potenziare le squadre pubbliche stagionali di lavoro nei boschi. Per creare professionalità nuove, acquisire le costosissime macchine, fare formazione, ritornare al Corpo forestale dello Stato. Avremo quindi non più boschi verdi, ma rosso fuoco.
Piantumare? Meglio di no, o perlomeno solo laddove vi sono problemi idraulici e di sicurezza idrogeologica o valanghiva. In tante fasce altitudinali è finita l’epoca dell’abete rosso (non ovunque, in natura mai generalizzare).
Si deve lasciare che sia la natura a scegliere cosa debba crescere, quali specie siano più idonee a questo specifico momento climatico, a quella determinata situazione di fertilità dei suoli o meno, a quella esposizione o meno alla luce, alle erosioni delle acque. Piantumare artificialmente è una scempiaggine scientifica e naturalistica. Si tenga presente che laddove si piantuma per necessità le piantine vanno poi seguite per 4/6 anni con taglio delle erbe ed accurata gestione, altrimenti l’80% di queste muoiono e comunque muoiono ugualmente fra il 40 e il 60% di quelle messe a dimora. Va messo in conto anche il lavoro “scientifico” fatto dai cervi, dove passano non rimane una pianta giovane.
Dove e cosa si piantuma? Cambiando specie ovviamente, basta abete rosso. In Baviera, nella bassa Austria, nel Massiccio Centrale francese si piantuma douglasia, a rapida crescita, ma solo per motivi economici. Conifere delicate che mal sopportano i venti, mai più abeti rossi in alta quota, dove possibile faggio, rovere, acero montano, larice. Esperimenti svizzeri dopo le tempeste Vivian e Lhotar, 1990 e 1999, hanno dimostrato che laddove si è lasciato fare alla natura le nuove piante hanno superato quelle delle superfici piantumate, il bosco giovane è più bello, multiplano e biodiverso. Queste sono osservazioni dirette del sottoscritto, accompagnato da esperti locali e docenti universitari.
Fin dal dicembre 2018 abbiamo iniziato ad avanzare proposte, riuscendo a convincere l’allora governo ad istituire sul tema Vaia una commissione nazionale che doveva dettare le linee di azione ed accelerare i processi di recupero e vendita del legname. In un documento di 18 punti avevamo letto Vaia come una opportunità; siamo stati bloccati dai leghisti allora al governo e specialmente dalla gamba tesa di Luca Zaia.
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