Intervista di Tommaso Martini
Il formaggio è un alimento che incontriamo nella nostra dieta quotidianamente fin dalla più tenera età. Ma è tra i prodotti più variegati e complessi tra quelli che ci vengono proposti. diventa fondamentale quindi far capire e comunicare questa complessità e creare una cultura del formaggio e una consapevolezza del suo valore. Francesco Gubert si occupa di questo ormai da anni ed è diventato un punto di riferimento in Trentino e non solo. Partecipare a un incontro con Francesco significa rinascere nel consumo di formaggio, rimettere in discussione le abitudini e le convinzioni avute fino a quel momento.
Come Slow Food abbiamo coinvolto Francesco nelle degustazioni a distanza organizzate durante il periodo del lockdown. Dalla sua cantina di stagionatura ci ha condotto in affascinanti percorsi di assaggio ed ha appassionato tutti i partecipanti nonostante la distanza fisica, stimolando i nostri sensi e la nostra mente.
Ciao Francesco. Ormai da anni ti incontriamo in degustazioni, lezioni, convegni, sempre sulle barricate a far scoprire il mondo del formaggio.
Come nasce questa tua professione di comunicatore del formaggi?
Questa mia professione nasce sostanzialmente dall’osservazione della realtà. I produttori focalizzano le loro energie sul fare un formaggio e farlo bene, hanno un approccio di tipo produttivo al formaggio. Il consumatore invece mangia questo prodotto. Mancava una figura intermedia che mettesse in collegamento questi due mondi, un cantastorie in grado di raccontare tutto quello che c’è dietro il formaggio. Questo passaggio di informazioni non è sempre semplice e immediato, deve essere mediato rispetto ai valori del produttore e del consumatore. Il mio ruolo nasce dai formaggi di malga e si p poi man mano ampliato su tutte le tipologie di formaggio. Mi rivolgo non solo al consumatore finale ma anche agli operatori del settore alimentare. I miei incontri si svolgono con banconisti degli spacci dei caseifici o dei supermercati, cuochi e ristoratori, personale di sala.
Quando nasce questa passione?
Mi son avvicinato al mondo dei formaggi nel 2009 con una prima stagione di malga in Svizzera, prima esperienza a mungere animali e fare formaggio e primo contatto reale con il mondo dell’alpeggio. L’anno successivo ho passato l’estate in una malga della Valsugana e ho raccontato la mia esperienza nel libro “90 giorni”. Sono poi diventato maestro assaggiatore dell’ONAF e ho iniziato a collaborare con l’istituto agrario. Le prime formazioni le ho svolte nelle scuole alberghiere con un progetto di Accademia d’impresa e da lì poi sono nati numerose occasioni di incontro e di racconto del mondo del formaggio. Negli ultimi tempi mi sto concentrando molto anche sulla comunicazione social, in particolare Instagram.
Cosa cerchi di comunicare nei tuoi incontri?
Degustare il formaggio è un atto culturale ed esperienziale. Cerco sempre di veicolare l’esperienzialità e la sensorialità. È fondamentale far emergere la ricchezza del formaggio a livello di profumi e quant’altro.
Il mio racconto non parte in quarta con il formaggio, dando per scontato tutto quello che c’è dietro. Presento un percorso che ho intitolato “dal foraggio al formaggio”, porto i fiori, l’erba, spiego la distinzione tra fieno di montagna e di pianura, cosa è una paglia e cosa è il mangime, la differenza tra un latte e l’altro. Parto dall’origine del formaggio perché voglio creare una consapevolezza della conoscenza del prodotto. Lo storytelling non si ferma poi alla degustazione ma avviene anche con corsi di caseificazione in cucina per fare la tosella, burro, ricotta e cacioricotta. Con chi si occupa di sala invece parliamo di come si tagli ail formaggio, lo si presenta e come si allestisce un carrello di dei formaggi. Tutta questa esperienzialità richiede anche una certa dose di innovazione nei contenuti. Va bene raccontare i prodotti caseari ma è importante intrecciarlo con altri prodotti e altri storie. A livello di abbinamenti infatti oltre ai classici con il vino si sta iniziando a proporre abbinamenti con la birra, con la cioccolata, con il gin.
Cosa sorprende di più chi partecipa alle tue degustazioni e incontri?
La cosa più sorprendente è la scoperta che dietro al formaggio c’è un mondo così complesso e così ricco. Tanti rimangono basiti davanti alla scoperta di storie così varie ma anche davanti alla scoperta della ricchezza dei profumi. Quando faccio tappare il naso per discriminare tra sapore e aroma le persone scoprono una ricchezza inaspettata anche se da tutta la vita mangiano formaggi.
Che futuro vedi per il mondo dei formaggi in Trentino?
Il Trentino non ha nulla da invidiare ad altri territori alpini. Abbiamo un settore lattiero caseario molto ricco rispetto alla superficie per numero, tipologie, tradizioni, storie da raccontare. A mio avviso esiste margine di miglioramento a livello di innovazione. La tradizione è importantissima ma non può essere mai un alibi all’immobilismo o un vincolo all’innovazione. È importantissimo valorizzare la tradizione e l’esistente, comunicarlo in modo anche innovativo, ma c’è un ampio spazio per innovare sul prodotto. Pensiamo al caso di alcuni piccoli caseifici come Maso Guez sugli Altipiani Cimbri, Irene Piazza a Malga Cavallara al Passo del Brocòn, Ciasa Dò Parè e l’Agritur El Mas in Val di Fassa, solo per fare alcuni nomi di giovani realtà sparse sul territorio. Guardando al futuro è bello poter pensare a un Trentino in grado di esprimere nuovi percorsi che si affianchino ai grandi formaggi tradizionali, sono due anime che devono convivere e rilanciarsi l’un l’altra.
Vi è poi un altro tema che è quello del valore del prodotto. In Trentino non siamo ancora riusciti a dare la nobiltà, l’elevazione, il valore al mondo caseario come è avvenuto in altri territori come il Piemonte o le cosiddette Cheese Valleys bergamasche. Abbiamo un prodotto che deve essere valorizzato maggiormente, anche dal punto di vista economico. Il mondo sta andando in questa direzione e anche il Trentino deve capirlo. Purtroppo il consumatore locale è molto legato all’acquisto nel mondo della GDO dove è difficile poter fare interventi di comunicazione. Nei territori a vocazione turistica il cambiamento però si sta già attuando. Lo storyteling deve aiutare a dare valore complessivo alla produzione.
In questo contesto come si pongono i Presidi Slow Food?
I Presìdi hanno connaturati degli elementi di racconto che sono particolarmente interessanti perché ci permettono di parlare del legame con la tradizione, di biodiversità, della distintività della produzione, permette di concentrarsi sulla materia prima, sulla alimentazione, sulla corretta remunerazione della filiera.
Francesco, in conclusione, qual è il tuo formaggio preferito?
Non ho una risposta secca. Dipende dal momento, son stato in Francia nei giorni scorsi e ho il frigo pieno di formaggi francesi. Nel mio quotidiano continuo ad assaggiare formaggi e spesso ne vengo sorpreso. È un mondo ricchissimo e questa è la sua bellezza che cerco di comunicare e far scoprire nella mia attività professionale.
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